lunedì 29 aprile 2013

Viaggio Sola

Margherita Buy


Ieri sera ho assistito a un piccolissimo miracolo.
Ho visto un film italiano in cui una quarantenne senza marito e senza figli non viene dipinta come una nevrotica depressa sull'orlo del suicidio, ma come una donna equilibrata e felice, che ha compiuto una scelta di vita e la porta avanti senza proclami, senza isteria, senza manifesti post femministi. 
Artefice dell'avvenimento è Maria Sole Tognazzi con il suo Viaggio sola.  

Margherita Buy è Irene, di professione ospite a sorpresa in hotel di lusso e resort esclusivi, incaricata di valutare gli standard di qualità con occhio inflessibile.
Della sua vita privata sappiamo poche cose: c'è Silvia (Fabrizia Sacchi), una sorella sposata e madre di due figlie e c'è Andrea (Stefano Accorsi) un ex fidanzato con cui ha un bel rapporto di amicizia complice.
A Irene piace la propria vita ma ascolta con molta pazienza le prediche della nevrotica sorella, che la vorrebbe sistemata come lei in un matrimonio tutto noia e niente sesso: va detto che se ti sei sposata con uno che ha la verve di Gian Marco Tognazzi, forse è inevitabile...
Andrea è anche lui un quarantenne single e senza prole, a cui però nessuno fa prediche e che si trova all'improvviso coinvolto in una relazione complicata...
A mescolare le carte arriva un personaggio fuori dagli schemi (un cameo dell'attrice Lesley Manville) che indurrà Irene a riflettere sul significato della bella e desueta parola intimità.

Questi gli ingredienti principali di una storia che esce dallo stereotipo corrente in cui la famiglia viene proposta come unica soluzione per raggiungere la felicità. 
Tognazzi è perfetto nella parte del marito a cui avveleneresti il caffè e Accorsi, sempre molto uguale a se stesso, rappresenta bene quell'indeterminatezza del maschio attuale, sempre indeciso tra adolescenza e machismo.
La Buy smette i toni costantemente esagitati che caratterizzano i suoi personaggi e ci regala una donna normale, che ha consapevolmente messo la propria libertà, quella che altri definiscono egoismo, al centro delle proprie scelte.
La metafora del viaggio e dell'altrove, espediente comune nel cinema, viene qui utilizzata per rappresentare l'Io della protagonista che non è in fuga da qualcosa, ma che desidera un'esistenza sospesa, eternamente mobile, che non si cura del futuro e che trova nelle maestà delle montagne e nei bazaar marocchini quella leggerezza che tante, troppe vite hanno smarrito nelle pastoie borghesi di un percorso «come si deve».
È un piccolo film, ma in un momento storico di recessione barbarica, nel quale le donne vengono mostrate secondo l'antico modello o madre o puttana,  forse se ne sentiva il bisogno.


domenica 28 aprile 2013

Nella Casa




Allen, Bergman, Hitchcock.
Sono questi i primi nomi che vengono in mente guardando l'ultima fatica di François Ozon. 
È infatti ricco di rimandi e citazioni, dedicati ai tre mostri sacri, questo bel film scritto dallo stesso regista e ispirato al lavoro teatrale El chico de la última fila, dello spagnolo Juan Mayorga.
In bilico tra thriller psicologico e commedia grottesca, è la storia di un rapporto pericoloso tra professore ed allievo, dove gli equilibri di potere tra mentore e discepolo si perdono fino a capovolgersi completamente. 
Fabrice Luchini, (già interprete per Ozon del delizioso Potiche) è Germain, un professore di letteratura che ha dovuto rinunciare alla carriera di scrittore per mancanza di talento.
Ernst Umhauer è Claude, uno studente che viene dalla periferia, con uno spiccato istinto per l'affabulazione. 
L'incontro tra i due mette in moto una partita a scacchi eccitante quanto rischiosa.
Claude desidera introdursi nella casa e nella vita del suo compagno Rapha (Bastien Ughetto) per assaporare le dolcezze della vita borghese ma soprattutto per poter incontrare la bella madre di lui: per riuscirci, si offre di aiutare Rapha con lo studio della matematica. 
Quando Germain chiede ai ragazzi di descrivere in un tema il loro ultimo weekend, Claude narra della sua prima visita a Rapha e lo fa così bene da catturare immediatamente l'interesse del professore e di sua moglie Jeanne, una gallerista che deve fare i conti con la crisi, interpretata da una Kristin Scott Thomas algida e allenianamente  nevrotica. 
Nella parte della musa di Eros troviamo Emmanuelle Seigner, più florida del solito e molto a proprio agio nel rappresentare la moglie annoiata e pronta alla schermaglia (vera o immaginata?) con il diabolico adolescente.

Intorno al quartetto in viaggio verso le rispettive perdizioni si muovono gli altri personaggi e tutto il meccanismo funziona in un crescendo rossiniano di realtà, proiezione, onirico e fantasia dove Thanatos è solo un gioco.
I piani di lettura sono molteplici ed è il background dello spettatore che sceglie cosa vedere nel rapporto tra arte, creatività, passato e presente nelle opere della galleria (uno degli spunti satirici meglio riusciti), piuttosto che nella letteratura ottocentesca o nella realizzazione di un film.
Quando Germain appare fisicamente in una scena che è frutto della sua immaginazione il fantasma di Bergman sorride nella penombra e possiamo immaginare la sorniona soddisfazione di Hitch per il sincero tributo al suo capolavoro La finestra sul cortile
Quanto ad Allen e al suo Match Point pensiero, non è il caso di rovinare la sorpresa... 
Fabrice Luchini si conferma l'attore più interessante del panorama francese. Il suo professore, frustrato dall'insuccesso del suo unico libro, che riversa sull'allievo (il figlio desiderato e mai avuto) le proprie ambizioni di scrittore, è una rappresentazione paradigmatica dell'uomo in cerca di quel riscatto che il giovane e disincantato Claude non potrà né vorrà portare a compimento. 

La domanda che Ozon sembra farsi (e farci) potrebbe essere: serve qualcuno per manipolarci o siamo già le vittime predestinate delle nostre ossessioni?