sabato 2 novembre 2013

JFK e il Sogno Infranto di Camelot



«Tu dov'eri quando hanno sparato a Kennedy?»

Dallas, venerdì 22 novembre 1963

Alle 12.30 tre colpi di arma da fuoco spezzano per sempre la visione di un condottiero e John Fitzgerald Kennedy muore assassinato, dopo appena due anni e mezzo di presidenza. 

Le immagini di Jackie che si arrampica sul cofano dell'automobile presidenziale nel tentativo di recuperare un pezzo di calotta cranica del marito, sconvolgono l'America.
La vedova del Presidente che scende dall'Air Force One indossando il tailleur macchiato di sangue che non ha voluto sostituire perché «il mondo deve vedere che cosa hanno fatto a Jack», dice tutto.
Il piccolo John jr. che, durante il funerale, lascia la mano della madre e saluta militarmente il feretro del padre, è il frame che racchiude la tragedia di una famiglia e il lutto di una Nazione. 

JFK, pur con tutte le ombre del suo operato, sembrava l'uomo capace di guidare il mondo libero verso un futuro di prosperità e di pace.

La Guerra Fredda, la minaccia di un conflitto nucleare a Cuba, il disastroso intervento in Vietnam, la crisi della Baia dei Porci, l'aperta ostilità dell'FBI nella persona di Edgar J. Hoover, Khruscev, Castro... nulla era riuscito a fermare quest'uomo giovane e instancabile. 
Kennedy e la sua Nuova Frontiera rappresentavano la pulsione al futuro, alla ricerca scientifica, alla pacifica convivenza fra i popoli: che questo dovesse necessariamente passare attraverso la supremazia degli Stati Uniti sull'Unione Sovietica e i Paesi del blocco orientale era cosa accettata e da molti ritenuta necessaria. 

Nel suo discorso di insediamento e nelle successive apparizioni, Kennedy pronunciò frasi che a distanza di cinquant'anni dalla sua morte riecheggiano ancora, attuali come non mai.
I diritti civili furono uno dei punti di forza del suo programma e l'integrazione dei neri fu un tema sul quale si scontrò duramente con l'ala conservatrice del Congresso. 
Insieme alla Gran Bretagna riuscì a impedire la proliferazione dei test nucleari e pose le basi per un parziale disarmo.
Creò quei corpi di pace che ancora operano nei Paesi in via di sviluppo (forse non proprio come lui avrebbe immaginato).

Malgrado soffrisse di atroci dolori alla schiena a causa dell'osteoporosi e delle ferite riportate durante le sue missioni nella guerra del Pacifico, Kennedy lavorò incessantemente per tutta la durata del suo breve mandato, spesso facendosi affiancare dal medico personale durante le riunioni di gabinetto e tenendo nascoste al mondo le sue vere condizioni di salute.
Insieme al fratello Robert, che nel 1968 cadrà come lui sotto i colpi di un killer mai identificato con certezza, JFK lascerà un'eredità importantissima di entusiasmo e determinazione. 

Ebbe a disposizione troppo poco tempo e non sappiamo quanto del suo programma politico avrebbe realizzato in quattro o magari otto anni di presidenza. 
Il muro di Berlino sarebbe caduto prima se lui avesse continuato ad affermare con forza «Ich bin ein Berliner»?
Il conflitto israelo-palestinese avrebbe preso un'altra piega? 
La polveriera che è diventata il Medio Oriente sarebbe stata disinnescata? 
L'America Latina avrebbe avuto maggiori chances di sviluppo?


Kennedy ha influenzato il pensiero di moltissimi uomini politici, in patria e fuori, fino ai giorni nostri.

Con il suo lavoro quest'uomo ha incoraggiato le minoranze a far sentire la loro voce; ha ispirato coloro che si battevano per un mondo più giusto e meno votato all'autodistruzione.

Aveva carisma da vendere e come molti grandi uomini aveva anche grandi debolezze... ma era un combattente nato, pluridecorato per atti di eroismo durante la Seconda Guerra Mondiale e non era tipo da mollare il prossimo al suo destino. 
In questo mondo di politici assetati di potere e disinteressati al bene comune, avremmo avuto bisogno di lui per molto più tempo...

Negli ultimi cinquant'anni, soltanto un altro avvenimento ha spinto le persone a chiedersi reciprocamente per anni: «Quel giorno, tu dov'eri?»

Quel giorno è l'11 settembre 2001.