domenica 21 luglio 2013

Riccardo III

Paolo Lorimer e Massimo Ranieri

Massimo Ranieri sta a Shakespeare come Eduardo sta a Somerset Maugham.

O almeno, questa è l'impressione che ho avuto dopo avere assistito ieri sera al suo Riccardo III.

L'Estate Teatrale Veronese è un'istituzione antica e prestigiosa che, nei suoi 75 anni di attività, ha ospitato, nella sognante cornice del Teatro Romano, artisti da tutto il mondo e ha proposto spettacoli di prosa e danza di altissimo livello. 

In questa gloriosa tradizione si inserisce Massimo Ranieri, che interpreta e dirige il dramma di William Shakespeare tradotto e adattato da Masolino d'Amico e accompagnato da musiche composte per l'occasione da Ennio Morricone. 
Sulla carta, un'operazione molto interessante: nei risultati, un po' meno. 

La delusione peggiore viene proprio dal protagonista. Ranieri entra in scena e attacca uno degli incipit più famosi della storia del teatro ma lo fa con una legnosità e una mancanza di rispetto per la prosodia che sono indegni di un attore di lungo corso. 
Per almeno dieci interminabili minuti non riuscirà a fare proprio il ritmo della frase e, per tutta la durata dello spettacolo, prenderà delle papere mastodontiche, spesso mancando di dominare la esse blesa. 
Il malvagio Riccardo, ubriaco di sangue, nella lettura di Ranieri si agita troppo e troppo mulina le braccia camminando avanti e indietro senza meta, nel tentativo di rendere truculenta una personalità già così efferata da non necessitare molto di più di quanto il Bardo suggerisca nel testo.
Capisco che non siano più i tempi di Olivier e Gielgud ma la concitazione non è efficace quanto la verità dell'accento e, quella, Ranieri l'ha mancata quasi del tutto.
Il suo Plantageneto sembra nato in casa Cupiello, anche perché nel corso della serata la cadenza partenopea sfuggirà al suo controllo in più di un'occasione. 
A sua parziale discolpa va detto che la produzione è al debutto e sappiamo come in Italia non si riesca più ad avere un periodo di prove adeguato al testo da rappresentare. Non mi stupirebbe scoprire che lo spettacolo è stato montato in tempi record.

L'altra brutta sorpresa arriva dalla parte musicale.

Chiamare Sinfonia per Riccardo III un pezzo che ricorda da molto vicino le percussioni degli Stomp (e null'altro) mi sembra eccessivo da parte di uno dei più acclamati compositori di colonne sonore al mondo. I frammenti musicali fanno da raccordo nei cambi scena e il pensiero corre all'idea della Promenade di Quadri da un'esposizione di Musorgskij. Non aggiungo altro perché sono da sempre una grande ammiratrice del Maestro Morricone.

La parte visiva invece è molto efficace. Ranieri ha affidato le scene a Lorenzo Cutuli che ha  pensato a una reggia completamente nera, composta da un semplice cilindro che ruota su se stesso e si schiude ogni volta su un ambiente diverso. Illuminato da luci bianchissime, il palco offre una cornice cupa e claustrofobica ai personaggi maschili in smoking, come a quelli femminili avvolti nei bellissimi costumi di velluto e seta cangiante, ispirati agli anni '50, di Nanà Cecchi.

Dell'intera compagnia, solo due attori regalano momenti di autentico teatro.
Paolo Lorimer è un duca di Buckingham davvero calato nel ruolo. Perfetta dizione, presenza scenica, piglio misurato, accento convincente. Il complice tradito dal malvagio re ci sta davanti in tutta la sua miseria. Lorimer ha studiato recitazione negli Stati Uniti prima e con Vittorio Gassman poi. Si vede e si sente. 
Margherita Di Rauso interpreta Margherita, la regina vedova di Enrico VI e nello sguardo allucinato della donna che ha perso corona, consorte e fortuna per un attimo ho ravvisato la folgore di Bette Davis, grazie anche a una certa somiglianza fisica. Nella scena in cui, completamente ubriaca, urla il suo dolore davanti a una Lady Anna spezzata e a una duchessa di York annichilita, Margherita è il perfetto esempio di come un'emozione possa essere trasmessa con forza dirompente senza cadere nel gigionesco. 

Ultima nota di demerito, che è quasi un gossip.
Il breve ruolo di re Edoardo IV è stato affidato a Roberto Vandelli.
Non so di chi sia stata la brillante idea di farlo recitare con lo stesso tono di voce usato da Marlon Brando ne Il Padrino, ma posso dire che il risultato è inopinatamente comico.

Don Vito Corleone seduto sul trono d'Inghilterra è uno scherzo che Massimo Ranieri, artista di chiara fama ammirato in altri contesti, si poteva e ci poteva risparmiare.