venerdì 24 maggio 2013

Ci Salveranno le Vecchie Zie? Un Autodafé




Ogni regola ha un'eccezione.
Ogni idea è destinata, prima o poi, a una solenne smentita.

Chi mi conosce sa della mia natura onnivora e della mia predilezione per la carne, preferibilmente rossa e cruda o molto al sangue.
Mangio la selvaggina, l'agnello, il pesto di cavallo, le lumache, le rane, le ostriche e sono fermamente convinta del diritto di chiunque di uccidersi con i grassi saturi, o qualunque altro veleno, se questo gli procura piacere e godimento.
Forse tanta allegra noncuranza deriva dal fatto di portare una taglia 38 nonostante le intemperanze enogastronomiche o dalla relativa rassicurazione delle analisi del sangue. Non so.
Credo altresì che la questione etica riguardante l'utilizzo degli animali a scopo alimentare sia un problema di coscienza individuale e, come tale, dovrebbe essere lasciato alle riflessioni del singolo. Fin qui, il mio pensiero: opinabile come ogni altro.

Sfortunatamente, negli anni, mi è successo di incontrare vegani oltranzisti che, lungi dal lasciare alla mia coscienza e alla mia salute le libertà dovute, mi hanno gratificata di variopinti epiteti circa le mie abitudini alimentari. 
L'Oscar va alla frase «Non posso baciare una donna che mangia cadaveri» rivoltami anni fa da un gentiluomo ostile alle proteine nobili.
Maleducati, aggressivi, irritanti, talebani. Ne ho incontrati a decine ma... come dicevo ogni regola ha la sua eccezione, ogni convinzione può essere confutata dai fatti.

Nel mio caso l'eccezione ha un nome e un indirizzo che chiunque può visitare.

Ci Salveranno le Vecchie Zie? è un progetto nato a Parma da persone che hanno deciso di vivere, e mangiare, in modo diverso.
Per farlo hanno creato un luogo, di rara piacevolezza, che sta proprio dietro il complesso monumentale del Duomo, in cui all'ora di pranzo si possono gustare piatti vegetariani preparati in loco con ingredienti biologici, acquistare vini e cibi provenienti da piccole aziende dei dintorni selezionati con estrema cura o farsi preparare un plateau di meravigliosi formaggi francesi artigianali da portarsi a casa. 
Come se tutto ciò non bastasse a farne una tappa obbligata, qui è possibile trovare una selezione di cosmetici di stretta osservanza ayurvedica, prodotti per la pelle e i capelli realizzati con oli essenziali e ingredienti naturali così gratificanti ed efficaci da conquistare anche una consumatrice accanita di petrolati quale io sono.
I proprietari di questo rifugio dal caos giornaliero sono persone competenti, gentili e disponibili, con le quali si può parlare di tutto in un clima rilassato e amichevole. Hanno impiegato anni di lavoro e ricerca per distillare questa filosofia e il risultato è davvero degno di nota. 

Conoscono la mia natura epicurea e sanno che la superba giardiniera che acquisto lì accompagnerà un piatto di carne, ma non hanno mai tentato di terrorizzarmi con fosche descrizioni di mattatoi e se non ci provano non è per puro istinto di marketing: loro offrono un'alternativa di alto livello qualitativo e lo fanno sorridendo. Semplicemente.
Se lo desiderate possono illustrarvi da dove sono partiti e perché.
So che in questo periodo stanno lavorando a un progetto di cena ad personam nuovo e molto interessante. Invito tutti a dare una sbirciatina, anche nella pagina facebook che porta il loro nome. Ne vale assolutamente la pena. 



lunedì 20 maggio 2013

Il grande Gatsby

Leonardo Di Caprio


Baz Luhrmann ha mancato il bersaglio.

La grande, magnifica figura del sognatore romantico è assente dal suo caravanserraglio tridimensionale.
Nella tragica vita di Gatsby c'è una sfumatura di dolore inestirpabile e Leonardo Di Caprio esibisce spesso un cipiglio che mal si accorda a tanta pena.
Ammirato in altri ruoli, nonostante non mi sia simpatico, qui l'attore non riesce a commuovere e non convince. Neppure per un minuto è Jay Gatsby.
Quanto a Carey Mulligan, un bel profilo non basta a rendere l'egoismo, la fatuità, il temperamento isterico sottopelle, quelle caratteristiche cioè che da sole spingono un uomo nel baratro dell'amour fou. 
La sua Daisy è piatta e i primi piani mostrano una donna solo bella, ma lontanissima da quel fascino mortale che il personaggio deve esercitare sul protagonista e sul pubblico.
La famosa scena delle camicie, che dovrebbe essere carica di pathos, è gettata via e il suo incontro con Gatsby, a casa del cugino, non trasmette alcun brivido, per non parlare della sequenza al Plaza: imbarazzante. 
Molto meglio se la cava Elizabeth Debicki nella parte di Jordan Baker, bellissimo giunco annoiato e degna rappresentante del vuoto assoluto di idee e valori che regna nel suo ambiente. 
Quanto a Tobey Maguire, il suo Nick Carraway arriva alla sufficienza, ma in certi momenti ricorda troppo da vicino il protagonista di Moulin Rouge (al quale il regista fa un omaggio forse inconsapevole). Certo non lo aiuta l'atmosfera da baraccone in cui si muove per la maggior parte del tempo. 
Joel Edgerton è il volgare marito di Daisy e si vorrebbe venisse da una delle grandi famiglie americane... Se poi fosse nato nei bassifondi chissà come si sarebbe portato, visto che si siede a cena con gli stessi abiti da giocatore di polo con i quali è sceso da cavallo. 

L'America dei Roaring Twenties di F.S. Fitzgerald viene trasformata da Luhrmann in una festa mascherata, che si potrebbe tenere in una discoteca di Rimini in agosto e, in effetti, la musica è quella lì. Tutti gli stereotipi del periodo sono rappresentati sfarzosamente ma il tutto si esaurisce in un'orgia di colori e suoni. Creare un prodotto inutilmente patinato da uno dei capolavori della letteratura del XXº secolo non era facile (e nemmeno auspicabile) ma questo è il risultato ottenuto. 

Dopo il fiasco del tedioso Australia, Luhrmann continua in una parabola discendente che pare inarrestabile.
Dove è finita l'ispirazione che ci aveva fatto tutti quanti innamorare di Satine?