sabato 25 gennaio 2014

The Wolf of Wall Street

Leonardo DiCaprio



«Vendimi questa penna»
Jordan Belfort


La pluripremiata ditta Martin Scorsese & Leonardo DiCaprio getta uno sguardo sull'abisso dell'avidità oltre ogni redenzione.

«The Wolf of Wall Street» è un viaggio psichedelico nella natura perversa del potere, del denaro quando è troppo, del sesso quando è compulsivo (quindi fatto male), della droga quando ti chiedi come si faccia ad assumerne tanta.

Jordan Belfort è un giovane uomo che sbarca a Wall Street alla fine degli anni '80, determinato a sfondare nel mondo dell'alta finanza.
Spregiudicato e intelligente, divenuto broker, riuscirà a creare dal nulla una società multimilionaria vendendo titoli spazzatura ad ingenui piccoli investitori.
Diventerà favolosamente ricco e dipendente da sesso, droga e psicofarmaci, in una escalation paragonabile a un'onda anomala. Onda che lo sommergerà senza ucciderlo, perché certe persone sono inaffondabili. 

Leonardo DiCaprio ci offre un'altra magistrale prova d'attore; debordante, sopra le righe, isterica. Convincente, in una parola. 
Eppure, io non riesco a fare il tifo per lui...
Non lo faccio neppure per l'agente dell'FBI che riesce ad incastrarlo, però. 
Lontano dal sembrare un paladino della legge, Patrick Denham (interpretato da Kyle Chandler) ingenera il forte sospetto di essere un giustiziere, con il dente avvelenato per motivi personali.

Il resto del cast è di ottimo livello, con una menzione speciale per il cameo di Matthew McConaughey, assolutamente spassoso.
Jonah Hill è una spalla formidabile per il protagonista, Margot Robbie nel ruolo della seconda moglie è visivamente splendida e sexy e attorialmente efficace.
Jean Dujardin ha la perfetta faccia da schiaffi del banchiere svizzero.
Il montaggio è di alto profilo.
La colonna sonora è in certi punti sorprendente.
La macchina è perfettamente oliata, eppure...

Come ha acutamente osservato lo spettatore seduto alla mia sinistra «Stiamo ridendo delle nostre disgrazie»
Eccolo lì, il motivo sotterraneo del fastidio procuratomi dalla visione del film. 
La pellicola irride lo spettatore, ricordandogli che sta provando empatia per una categoria di individui che hanno portato la società del XXIº secolo allo sfacelo.
La profonda crisi economica che ha impoverito milioni di persone si è generata in quelle stanze, piene di uomini senza scrupoli.

Belfort non è un personaggio di fantasia come il Gordon Gekko di «Wall Street», lui ha veramente cercato di fottere il mondo (noi cioè) in ogni modo possibile.
Chiaro che la rappresentazione del Male non è il Male, quindi Scorsese non è moralmente responsabile di un bel nulla, nondimeno questa è una storia che brucia, se solo si smette di guardare al lato divertente della vita del protagonista.

Le riprese, volutamente affastellate e ridondanti, mettono lo spettatore in uno stato di stupore ipnotico, trascinandolo in mezzo a nani volanti, prostitute assortite, brokers assatanati e strafatti.
Il regista insiste volutamente sulla dimensione parossistica per 180 minuti. Troppi.

Come da tradizione Belfort cadrà nel fango, ma solo per ricominciare, perché la sete è inestinguibile, in quelli come lui. Non importa chi sarà a pagare il conto. 

Oliver Stone, nel 1987, quando tutti credevamo che la festa non sarebbe mai finita, faceva dire a Gordon Gekko: «L'avidità, non trovo una parola migliore, è giusta.»

Martin Scorsese ci ripropone il medesimo concetto 25 anni dopo, in un mondo dove la festa non può ricominciare.

La domanda è: lo abbiamo capito davvero?