lunedì 20 maggio 2013

Il grande Gatsby

Leonardo Di Caprio


Baz Luhrmann ha mancato il bersaglio.

La grande, magnifica figura del sognatore romantico è assente dal suo caravanserraglio tridimensionale.
Nella tragica vita di Gatsby c'è una sfumatura di dolore inestirpabile e Leonardo Di Caprio esibisce spesso un cipiglio che mal si accorda a tanta pena.
Ammirato in altri ruoli, nonostante non mi sia simpatico, qui l'attore non riesce a commuovere e non convince. Neppure per un minuto è Jay Gatsby.
Quanto a Carey Mulligan, un bel profilo non basta a rendere l'egoismo, la fatuità, il temperamento isterico sottopelle, quelle caratteristiche cioè che da sole spingono un uomo nel baratro dell'amour fou. 
La sua Daisy è piatta e i primi piani mostrano una donna solo bella, ma lontanissima da quel fascino mortale che il personaggio deve esercitare sul protagonista e sul pubblico.
La famosa scena delle camicie, che dovrebbe essere carica di pathos, è gettata via e il suo incontro con Gatsby, a casa del cugino, non trasmette alcun brivido, per non parlare della sequenza al Plaza: imbarazzante. 
Molto meglio se la cava Elizabeth Debicki nella parte di Jordan Baker, bellissimo giunco annoiato e degna rappresentante del vuoto assoluto di idee e valori che regna nel suo ambiente. 
Quanto a Tobey Maguire, il suo Nick Carraway arriva alla sufficienza, ma in certi momenti ricorda troppo da vicino il protagonista di Moulin Rouge (al quale il regista fa un omaggio forse inconsapevole). Certo non lo aiuta l'atmosfera da baraccone in cui si muove per la maggior parte del tempo. 
Joel Edgerton è il volgare marito di Daisy e si vorrebbe venisse da una delle grandi famiglie americane... Se poi fosse nato nei bassifondi chissà come si sarebbe portato, visto che si siede a cena con gli stessi abiti da giocatore di polo con i quali è sceso da cavallo. 

L'America dei Roaring Twenties di F.S. Fitzgerald viene trasformata da Luhrmann in una festa mascherata, che si potrebbe tenere in una discoteca di Rimini in agosto e, in effetti, la musica è quella lì. Tutti gli stereotipi del periodo sono rappresentati sfarzosamente ma il tutto si esaurisce in un'orgia di colori e suoni. Creare un prodotto inutilmente patinato da uno dei capolavori della letteratura del XXº secolo non era facile (e nemmeno auspicabile) ma questo è il risultato ottenuto. 

Dopo il fiasco del tedioso Australia, Luhrmann continua in una parabola discendente che pare inarrestabile.
Dove è finita l'ispirazione che ci aveva fatto tutti quanti innamorare di Satine? 

1 commento:

  1. Temo si siano cimentati con un modello troppo alto.... E per questo non vado a vedere il film. Mi fido delle tue parole. Ma vuoi mettere Redford? Come si fa a rifare un personaggio fatto da lui? Sarebbe come riscrivere il Sogno di una notte di mezza estate o il Faust... Sarebbe come rifare Tempi moderni o Fra Diavolo nella versione di O&S...

    Luigi Alfieri

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