lunedì 17 marzo 2014

Lei

Joachim Phoenix

Per il suo lavoro di doppiaggio, alla versione italiana del film «Her», Micaela Ramazzotti meriterebbe di essere appesa in pubblico per i pollici, a fianco di Pier Francesco Favino: lo scempio compiuto dall'attore sul personaggio di Lincoln nella pellicola omonima è, infatti, qualcosa che ancora grida vendetta.

Perlomeno vorrei capire da quando una voce da ragazzetta petulante, afflitta dal raddoppiamento sintattico, venga ritenuta adatta a restituire un personaggio che non ha altri mezzi espressivi a sua disposizione e che non agisce a Benevento, bensì a Los Angeles.

Il regista Spike Jonze indaga l'incapacità a rapportarsi con gli altri esseri umani e costruisce una storia, ambientata in un futuro prossimo, nel quale uomini e computer interagiscono sentimentalmente. 

Joachim Phoenix è Theodore, un uomo solitario che non vuole affrontare il divorzio chiesto dalla moglie, una non troppo simpatica Rooney Mara.
L'occhialuto e baffuto Phoenix, a cui Jonze ha smorzato la fisionomia di quello eternamente disturbato, ha uno strano lavoro empatico che consiste nello scrivere lettere personali per conto di terze persone, cosa che egli fa con una certa passione.


Un giorno Theodore acquista un sistema operativo frutto di un'intelligenza artificiale in grado di evolversi.
Messo davanti alla scelta tra rapportarsi con una voce maschile o con una femminile, l'uomo opta per la seconda.
Entra così nella sua vita Lei: «Samantha».

Per due ore Jonze ci porta a spasso in una storia d'amore surreale e sorprendentemente simile alle relazioni amorose tra persone vere. 
Fra Theodore e Samantha vediamo scorrere attrazione, gelosia, passione, conflitti. Ma c'è una sotterranea sensazione di disagio in tutto ciò.
I personaggi reali coinvolti nella storia, (su tutte Amy Adams nella parte di Amy, una vecchia amica di Theodore), appaiono sbiaditi se paragonati alla brillante incorporea protagonista. Quale donna in carne e ossa potrebbe mai reggere il confronto? 

Eppure Samantha soffre nel non avere una dimensione fisica e così spinge il suo amante umano ad avere un rapporto sessuale con una sconosciuta ragazza che possa fare da tramite.
L'insolito ménage a trois si rivela fallimentare e la liaison al silicio mostra le prime crepe, fino al prevedibile epilogo.

Il talentuoso Joachim Phoenix ha dalla sua una faccia inquietante, che in film come «Il Gladiatore» o  «The Master» risultava efficace. Nella parte di un single depresso che vive in un bellissimo appartamento deserto e molto sospira durante la notte, è un po' sprecato.

Da un'idea interessante, il regista ricava un film che non convince.
Mostrare le conseguenze della fine di un matrimonio attraverso esperienze grottesche veniva meglio a Ingmar Bergman.
Raccontare il futuro tra uomo e macchine dopo Ridley Scott e il suo «Blade Runner» è molto difficile.

«Lei» è stucchevole e il doppiaggio di Samantha (oltraggioso) lo avvicina al confine tra fastidio e tedio.

Nella versione originale è Scarlett Johansson a prestare la propria voce a Lei. Non ho ancora avuto occasione di ascoltarla, ma lo farò presto, non fosse che per rendere giustizia alla scelta registica. 



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