martedì 12 febbraio 2013

Le Roi n'est Pas Mort. Vive le Roi?





Da circa duemila anni qualcuno si arroga il diritto di dirci come vivere la nostra vita da prima della nascita a dopo la morte.
In questo lasso di tempo, spesso non breve, la Chiesa di Roma pretende di regolamentare e giudicare pensieri, opere, azioni e omissioni di tutti gli individui che hanno la sventura di nascere in un Paese a maggioranza cattolica.
Come donna e come cittadina non sono libera di decidere della mia sessualità in termini di contraccezione, aborto, orientamento sessuale. Al di fuori del matrimonio qualunque rapporto d'amore è bollato come peccaminoso e fonte di perdizione per la mia anima.
Se giunta al termine della mia vita la malattia mi rendesse invalida, preda di atroci dolori, vittima di una dipendenza assoluta dalle cure dei sanitari, perfino se incosciente e in coma irreversibile, l'inflessibile padre nostro mi proibirebbe una fine dignitosa, perché la mia vita non è mia, bensì sua e quindi può disporne a suo piacimento. 
Nascita, sessualità, morte: questi i temi fondamentali sui quali la chiesa ha impostato il suo dominio. Da qui la creazione del senso di colpa, l'ammorbante strumento di coercizione che per secoli ha piegato la volontà dei singoli con la visione della dannazione eterna.
Re e Imperatori hanno tremato davanti alla minaccia delle fiamme infernali, generazioni di donne le hanno assaggiate sulla propria carne, nei roghi dell'Inquisizione. 
L'energia vitale più potente e creatrice, la più difficile da dominare perché primigenia e universale, quella sessuale, è stata mortificata e resa abietta, costretta negli angusti spazi della procreazione a tutti i costi. 
L'antico sapere arso nelle biblioteche dei saggi, le voci degli scienziati soffocate nel sangue e nell'abiura, i riti degli antichi depredati e snaturati, le coscienze obnubilate dal terrore dei castighi divini, distruzione e morte dispensate senza riserve e in cambio di che cosa? 
Le feste del raccolto, gioiosi baccanali in comunione con il risveglio della primavera, sostituite dalle sinistre prediche piene di zolfo e dalle tetre funzioni nelle buie cattedrali, in cui la comunione consiste nel cannibalico rito di mangiare il sangue e il corpo di un tizio morto da millenni.
Digiuni, veglie, penitenze, confessioni, rinunce, astinenze, preghiere, sottomissione, obbedienza, mortificazione: questa è la volontà di un dio sanguinario e feroce, altro che amoroso e padre. Quale padre penserebbe di farsi amare in cotal guisa?

In tempi più recenti il distacco di milioni di persone dalla fede cattolica ha mostrato con maggiore evidenza l'ingerenza pesantissima del Vaticano nell'attività dei governi di intere nazioni.
La Chiesa, corrotta e peccatrice, si arroga ancora il diritto di ostacolare leggi a salvaguardia della libertà personale in ogni parte del mondo. Gli Stati, in diversa misura, ancora soggiacciono ai diktat papalini per quanto concerne nascita, sessualità e morte.
È di pochi mesi fa la tragica fine, in un ospedale irlandese, di una donna di origini indiane a cui è stato negato l'aborto di un feto che le ha indotto una setticemia fatale. I medici che l'avevano in cura si sono giustificati dicendo che l'Irlanda è un paese cattolico, in cui non si abortisce. Non si abortisce un feto di diciotto settimane, ma si uccide una persona sana di ventotto anni.

Un cittadino, magari neppure battezzato, non può decidere della propria vita secondo le proprie convinzioni ma un Papa, scelto dallo Spirito Santo, investito di un Ministero Sacro può decidere, da ieri mattina, che fare il Papa è troppo gravoso e quindi, tanti saluti e ringraziamenti allo Spirito Santo, ma queste sono le mie dimissioni. 

«Non si scende dalla croce» è stato l'unico commento esente da piaggeria che ho sentito nelle ultime ventiquattro ore giungere dalle personalità interpellate in merito a questa decisione. Viene dal cardinale polacco Stanislaw Dziwisz, che fu segretario di papa Wojtyla, uno che se non altro è rimasto al suo posto fino alla morte senza lagnarsi.
Il vicario di Cristo ha deciso, per il bene della Chiesa s'intende, di non essere più in grado di dare ragione allo Spirito Santo, il quale dovrà rendersi conto di aver mal giudicato il suo cane da guardia. 
L'abdicazione di Herr Ratzinger precipita la chiesa nel relativismo contro il quale si è strenuamente battuta per secoli, visto che questa è la decisione dell'amministratore di un potere puramente temporale, non certo quella di un capo spirituale.
Un papa emerito distrugge per sempre la sacralità di un ruolo che finora poteva essere spacciato per divino e mistico. In un discorso di dimissioni, seppure scritto in latino, non vi è nulla di trascendente. Non mi importa quanto tu possa essere vecchio, stanco, inadeguato, non degno, provato o malato: la tua coetanea Elisabetta II d'Inghilterra, capo della chiesa anglicana, rimane al suo posto, dopo 60 anni di regno che non pretende le sia stato concesso dal disegno di un Dio onnipotente.
Questa decisione è il sospirato inizio della fine di una istituzione barbara, contraria all'Umanesimo e all'umano, lontana anni luce dalla ricerca della felicità che dovrebbe essere lo scopo di ognuno di noi.
Personalmente auspico che le lotte intestine, gli intrighi, le battaglie cruente per il potere dentro i palazzi vaticani, distruggano finalmente dall'interno un sistema marcio fino al midollo e restituiscano alle nuove generazioni la leggerezza di una coscienza che possa svilupparsi secondo principi davvero etici. Principi che non mortifichino l'essere umano nella sua complessità e bellezza con la ridicola minaccia dell'inferno. 

2 commenti:

  1. pensa che ora potrà scrivere sul C.V.: Santo Padre dal 2005 al 2013... non male! chi può batterlo!

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  2. Ma soprattutto il classico detto: "morto un Papa se ne fa un altro" che fine mi fa?
    Cate

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