giovedì 21 febbraio 2013

Viale del Tramonto - Sunset Boulevard -

                                       

Il 1951 fu un anno difficile per quelli dell'Academy.

«Tra Wilder, Mankiewicz, Minnelli e Cukor chi mandiamo a casa?»
«Glielo dici tu a Anne Baxter, a Gloria Swanson, a Eleanor Parker e soprattutto a Bette Davis che dovranno far meglio la prossima volta?»
«Al prossimo party cosa raccontiamo a William Holden, James Stewart e Spencer Tracy, che non sono stati abbastanza bravi?»

Nel corso dell'anno precedente erano stati girati alcuni dei film che avrebbero fatto la storia del cinema: uno di questi era ed è ancora «Sunset Boulevard».

Da subito salutato come un'aspra critica al mondo del divismo hollywoodiano, il tema è curiosamente omologo a quello di «Eva contro Eva», veritiero ritratto del cinismo imperante a Broadway e pellicola che si aggiudicherà la statuetta come miglior film.

La gestazione di «Viale del Tramonto» (per una volta fedele traduzione dall'originale) era stata molto difficile. Numerosi attori ed attrici erano stati interpellati per i due ruoli principali e per vari motivi erano stati scartati: Greta Garbo per naturale spocchia non aveva nemmeno voluto sentir parlare della cosa, Mae West a 57 anni si reputava troppo giovane (e secondo me non intendeva recitare in un film dove un uomo la snobbava), Mary Pickford voleva riscriversi le battute e Pola Negri non aveva superato il provino perché parlava ancora con accento polacco dopo trent'anni di vita negli States. 
Con gli uomini non era andata meglio: Montgomery Clift aveva firmato e poi rotto il contratto per misteriosi motivi, Fred McMurray non voleva interpretare un gigolò, Gene Kelly aveva accettato senza interpellare la major che lo aveva in esclusiva e che gli aveva quindi negato il permesso e un certo Marlon Brando era stato snobbato perché nessuno sapeva chi fosse. 
William Holden e Gloria Swanson erano in fondo alla lista; lui osteggiato dal regista e lei a riposo da tre lustri, in fondo esattamente come la protagonista della storia...

Storia che racconta in modo mirabile la discesa agli inferi della follia di un'ex diva del muto. La divina Norma Desmond.
Norma vive sepolta in una gigantesca villa fatiscente, circondata dalle sue foto e nel culto ossessivo della se stessa di trent'anni prima.
Con lei, oltre a pochi colleghi ormai mummificati, solo il maggiordomo Max (Eric von Stroheim) suo fedelissimo servitore/adoratore che ogni giorno verga finte lettere dei fans per alimentare l'illusione di Norma.
In questo clima cimiteriale, fotografato splendidamente, irrompe il giovane Joe Gillis, scrittore piuttosto fallito di sceneggiature cinematografiche.
Joe è bello, atletico, con molti debiti e pochi scrupoli.
Norma se ne invaghisce pazzamente e lo convince a trasferirsi alla villa, con grande costernazione di Max che scopriremo in seguito essere un famoso regista nonché ex marito dell'attrice. 
Comincia così una vita di segreti e bugie da parte di Joe, smanioso di fuggire ma troppo attirato dal lusso che Norma gli offre.
La diva, convinta dai sotterfugi di Max che un ritorno sul grande schermo sia imminente, si sottopone a torture estetiche di ogni tipo per essere al meglio davanti alla cinepresa e così facendo non si accorge che Joe è molto impegnato altrove... con una donna giovane e bella.
La vicenda si avvia velocemente verso una conclusione tragica: sconvolta dalla gelosia e certa che Joe la stia per abbandonare, Norma lo uccide a colpi di pistola.
Poi, convinta di trovarsi di nuovo sul set, regala agli spettatori uno dei finali più toccanti della storia del cinema in bianco e nero. 
La visione di Norma che scende lo scalone nei panni della principessa Salome, racchiude in pochi fotogrammi tutta la crudeltà della macchina tritacarne che Hollywood è sempre stata e tutta la tragedia di chi, avvezzo ad essere considerato un semidio, viene abbandonato all'oblio del tempo che passa da chi rincorre nuovi volti più fotogenici e senza rughe...
Wilder, Holden, la Swanson e von Stroheim (tutti candidati e tutti perdenti) realizzano un film perfetto sotto ogni punto di vista.
Il triangolo malato tra Norma, Joe e Max ci restituisce tutta la meschinità di una vita in cui non c'è nulla di reale. Lei vive in un mondo di illusioni creato dal regista-marito-maggiordomo, il quale si illude che Norma un giorno potrà ricambiare la sua dedizione. Joe si racconta di non essere lo squallido gigolò di una donna anziana quanto più a lungo possibile e tutti quanti si aggirano come figure di celluloide a due dimensioni.
Billy Wilder, il geniale regista di commedie come «Sabrina», «A qualcuno piace caldo» e «Quando la moglie è in vacanza» qui sperimenta per la prima volta la tecnica narrativa della vicenda raccontata dalla voce fuori campo di un cadavere. Il film si apre infatti con l'inquadratura del corpo di Joe che galleggia a faccia in giù nella piscina della villa.
Gloria Swanson, all'epoca cinquantenne, interpreta se stessa con un'abbondante dose di autoironia. Tra le più grandi dive del muto, Gloria è decisamente sul viale del tramonto e tutta la sua impostazione del personaggio, con una recitazione enfatica ed eccessiva, tradisce un ghigno beffardo e amaro al contempo. 
William/Joe è bello e cinico, spregiudicato e calcolatore ma non senza un fondo di pietà per questa donna anacronistica ed eccessiva, perduta nelle nebbie del suo mito dimenticato.
Ma il mio preferito, in questo film di giganti, è Max: l'uomo che per metà della propria vita rimane accanto alla donna amata custodendone l'altare come il più fanatico dei sacerdoti.
Sarà lui, negli ultimi istanti, a dirigere ancora una volta Norma Desmond, nel primo piano con dissolvenza più doloroso e catartico della carriera di entrambi.




  

1 commento:

  1. Clap, clap, clap.... Ottimo pezzo. Se riuscita a non infilare tiratine contro la chiesa cattolica e mi hai fatto venire la voglia di rivedere il film. Max è una figura gigantesca. Luigi Alfieri

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